“Ti sparo!” I bambini e le armi giocattolo

Valerio, si presenta un giorno a scuola con una pistola. Giocattolo. La maestra gli dice che a scuola certi giochi non si usano e di non portarla più!

Luigi, costruisce con i Lego un mitra. La maestra arabbiata si avvicina e gli dice: Ma hai costruito un mitra?” Lui risponde: “Ma maestra non è un mitra è un’ascia!. È comunque un’arma!“, risponde la maestra.

Sofia porta le manette giocattolo a scuola e, facendo finta di essere una poliziotta, ammanetta le sue compagne (che sono delle terribili criminali) alla sedia.

I bambini sono attratti dalle armi giocattolo, amano giocare a far la lotta, ad interpretare personaggi cattivi e soprattutto i buoni che li sconfiggono.

Spesso però la scelta di certi giochi da parte dei bambini preoccupa gli adulti che li associano a un valore morale negativo relativo al simbolo che rappresentano. La paura sottostante, è quella che i bambini, attraverso certi giochi, possano sviluppare atteggiamenti violenti ed aggressivi.

Ma andiamo con ordine. Iniziamo evidenziando alcune caratteristiche del gioco.

Il Gioco è un gioco

Sembra un’affermazione banale e scontata, ma è importantissimo sottolinearlo.

Il gioco ha una dimensione di finzione. Proietta il bambino in una dimensione differente da quella della vita reale. Proprio questa dimensione protetta gli consente di poter esprimere, sperimentare e rielaborare vissuti emotivi, competenze e immaginari. Secondo Gregory Beatson il gioco ha la funzione di metacomunicare (vi consiglio di leggere dell’autore Questo è un gioco!“): perché un’attività ludica sia veramente tale è necessario che i bambini siano consapevoli che si tratti di un gioco, cioè che le azioni che compiono siano fittizie.

Ma se le azioni sono fittizie, le emozioni, il sentire, le competenze sperimentate sono reali. Ed è proprio perchè il gioco è un gioco che il bambino può sperimentare delle parti di sè in modo autentico, ma mediato da situazioni non reali e dunque non pericolose.

Nel gioco il bambino è il protagonista

Nel gioco libero sono i bambini a scegliere quale gioco fare. La scelta è spontanea ed è espressione dei loro bisogni evolutivi, emotivi, sociali. In questo modo acquisiscono competenze cognitive, emotive e relazionali attraverso il rapporto con gli altri e una sperimentazione diretta di sè. Giocando il bambino apprende, sperimentandole, delle cose che prima non conosceva. Questo gli permette di rafforzare la propria autostima e di strutturare il proprio sè (da vedere, in tal proposito, gli studi effettuati da Piaget, Winnicot, Vighovsky e Bruner).

Il bambino sceglie anche il tempo da dedicare ad un gioco, abbandonandolo quando non ne sente più necessità. E questo tempo non è dettato da fattori esterni. È il tempo interno del bambino (dettato cioè dai sui bisogni evolutivi, emotivi).

Il gioco, anche se libero, ha delle regole

Il gioco ha delle regole sociali, relazionali e di contesto.

Un bambino può Far finta di“, ma comunque deve stare all’interno di certi limiti: posso giocare, ma senza fare male a me e agli altri, rispettando il contesto e i tempi dei compagni che magari in quel momento stanno facendo altro oppure stanno giocando con qualcosa che interessa anche me.

Il ruolo dell’adulto in questo caso diviene fondamentale perchè ribadisce le regole e pone dei limiti chiari e precisi.

Ora torniamo al nocciolo della questione: le armi giocattolo.

Proibire o concedere ai bambini di utilizzare armi giocattolo?

Come abbiamo detto, il gioco permette al bambino di conoscere, accogliere e padroneggiare in un contesto di finzione, quindi protetto, le proprie emozioni.

La rabbia e gli impulsi aggressivi fanno parte della natura umana come altri sentimenti. Il gioco permette al bambino di elaborare le tensioni interne, imparando a gestire le pulsioni. Inoltre, scegliendo determinati giochi esprime il bisogno di sentirsi invincibile, forte. Può esercitare un potere sul contesto e sugli altri che nella vita reale non ha.

Questo gli permette da una parte di rafforzare la propria autostima e dall’altra di comprendere che l’espressione delle sue emozioni ha dei limiti. Giocare, esprimendo queste emozioni, scoprendo di essere in grado di viverle senza farsi del male e senza fare del male agli altri, permette al bambino di sviluppare una maggiore competenza emotiva (vi consiglio di leggere Intelligenza emotiva di Daniel Goleman).

Si può dunque affermare che giocare a Fare la guerra è terapeutico, ha un ruolo catartico, permette al bambino di liberare la propria aggressività, di esprimerla simbolicamente, di non averne paura.

Perchè se anche faccio finta di sparare alla mamma, la mamma muore, ma solo per finta! Perchè posso esprimere la mia aggressività e rabbia senza fare del male e farmi del male. Esprimendo le emozioni attraverso il gioco le leggittimo, le conosco e imparo a gestirle.

Il gioco può essere quindi considerato una importante palestra emotiva del sè.

Inoltre è importante sottolineare che, anche se un bambino sceglie di utilizzare un’arma giocattolo, comunque è all’interno in una dimensione creativa ed immaginativa: immagina il contesto, le parole da dire, i personaggi, i ruoli. Questa dimensione creativa si sviluppa ancora di più quando il bambino costruisce, utilizzando altri oggetti, le armi (ad esempio dei cartoni, i Lego ecc). Questo permette al bambino di sviluppare il pensiero divergente (vi consiglio di vedere gli studi J.P. Guilford), cioè la capacita di trovare soluzioni creative ad un problema.

Proibire non è mai la soluzione!

Il bambino che ha bisogno di esprimere e rielaborare la propria aggressività, vedendosi proibito l’uso delle armi, comunque troverà il modo di dar sfogo a quell’emozione (non perchè è cattivo o violento ma perchè ha bisogno di farne esperienza) magari lanciando le macchinine per la classe.

E cosa succede se la maestra allora proibisce di usare le macchinine perchè non si è in grado di utilizzarle nel modo corretto?

Che un bambino non solo non verrà riconosciuto nel suo bisogno e accolto nella sua emozione, percependola come sbagliata, ma troverà comunque dei modi per esprimerla. Questo, se da una parte, gli consentirà di sviluppare un sempre più raffinato pensiero divergente trovando dei modi sopraffini per non farsi scoprire; dall’altra però, lo porterà a percepirsi come sbagliato e violento.

È la censura del gioco e delle emozioni che ne fanno parte che può nei fatti portare all’agressività e non il contrario!

Il ruolo fondamentale dell’adulto

Se abbiamo detto che l’adulto deve lasciare libero il bambino di sperimentare tutte le sue emozioni e accogliere tutti i modi in cui decide di farlo, dall’altra dovrebbe fare cinque cose fondamentali:

  • Interrogarsi in modo critico: cosa provoca in me il fatto che un bambino utilizza un’arma giocattolo? Che rapporto ho io con l’aggressività? Quanto è una mia fatica gestire determinate situazioni e quanto invece è una preoccupazione reale nei confronti del bambino?

  • Osservare i bambini mentre giocano e segnalare eventuali modalità disfunzionali o espressione di malessere. Ad esempio un bambino che sistematicamente fatica ad esprimere l’aggressività entro i limiti finzionali del “gioco”, non rispettando il contesto e i compagni e facendo del male a sè stesso e agli altri.

  • Essere un esempio di persona che nella vita reale non utilizza l’aggressità e la violenza come modalità comunicativa.

  • Tutelare il gioco dei bambini, sia facendo attenzione allo spazio (ad esempio se giochiamo a “Fare la guerra” possiamo mettere dei cuscini per terra), sia delineando e ribadendo i limiti, le regole relazionali e di contesto entro cui il bambino può giocare.

  • Parlare ed affrontare con il bambino ciò che accade nella vita reale accogliendo le sue domande, timori e paure e rimandandogli un pensiero chiaro rispetto ai fatti aggressivi o violenti con cui il bambino viene a contatto inevitabilmete (anche solo attraverso la tv). In questo modo il bambino svilupperà degli strumenti critici per leggere e rielaborare la realtà intorno a lui.

E infine, un’ultima cosa:

Se un bambino ti punta una pistola giocattolo addosso, dicendoti ti uccido, non importa quanta dignità tu abbia, devi morire!

In conclusione dell’articolo, vorrei lasciarvi, con un frammento tratto da Lettera a mio figlio di Umberto Eco:

[..]

Da quest’orgia di giochi bellici è venuto fuori un uomo che è riuscito a fare diciotto mesi di servizio militare senza toccare un fucile e dedicando le lunghe ore di caserma a severi studi di filosofia medievale; un uomo che si è macchiato di tante iniquità ma che è sempre stato puro di quel tristo delitto che consiste nell’amare le armi e nel credere alla santità e all’efficienza del valore guerriero; Un uomo che comprende il valore degli eserciti solo quando li vede accorrere tra la melma del Vajont a ritrovare una serena e nobile vocazione civile. Che non crede assolutamente alle guerre giuste, e apprezza solo le guerre civili, in cui chi combatte lo fa controvoglia, tirato per i capelli, a suo rischio e pericolo, sperando che fInisca subito e perché proprio ne va dell’onore e non se ne può fare a meno. E credo di dovere questo mio profondo, sistematico, colto e documentato terrore della guerra ai sani ed innocenti sfoghi, platonicamente sanguinari, concessimi nell’infanzia, così come si esce da un film western (dopo una scazzottatura solenne, di quelle che fan crollare le pareti del saloon, in cui si fracassano i tavoli e i grandi specchi, si spara sul pianista e si schiantano le vetrate) più puliti, buoni e distesi, disposti a sorridere al passante che ti urta con la spalla, a prestar soccorso ai passerotti caduti dal nido – come Aristotele ben sapeva, quando chiedeva alla tragedia di agitare ai nostri occhi il drappo rosso del sangue per purificarci a fondo, col divino sale inglese della catarsi finale.”

Nel mio prossimo articolo affronterò il tema del giocare a fare la guerra ma dietro allo schermo del computer!

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