I “capricci”… esistono?

Il termine capricci è sicuramente un’espressione di uso comune da parte di molte famiglie e talvolta anche da parte dei professionisti. Ci interroghiamo in questo articolo sul significato che potrebbe avere invece il comportamento del bambino, sul riconoscimento dei bisogni espressi dai bimbi e su una più funzionale gestione per la crescita dei piccoli, cercando di rispondere all’interrogativo: “I capricci esistono?”

Utilizzo del termine capriccio e significato

Nonne, zie, mamme, papà troveranno la domanda un po’ insensata… “certo che esistono”, si rispondono, e molti avranno sicuramente svariati esempi di capricci dei loro bambini.

Il termine fa parte del linguaggio comune e viene usato quotidianamente da chi ha a che fare con bambini diciamo tra un anno e mezzo e i 5 anni. Quando mi capita di sentire nonne dire “ sei proprio un bambino capriccioso”, abbozzo un sorriso e passo oltre. Se però succede di sentire la stessa espressione usata da professionisti del mondo dell’educazione e della prima infanzia in particolare, mi sento allora meno propensa a chiudere un occhio. Come educatori non possiamo proprio banalizzare e semplificare un comportamento dei bambini di cui ci occupiamo, anzi abbiamo il compito di sostenere genitori e familiari nell’interrogarsi in modo più approfondito rispetto all’agire dei loro bimbi.

Iniziamo allora dal termine. “Capriccio” secondo la definizione del dizionario Garzanti è: Voglia bizzarra, ghiribizzo, desiderio ostinato; fare i capricci, esprimere con insistenza desideri singolari, inspiegabili. Esempi concreti:

  • bambini che non vogliono andare a letto la sera e tengono in scacco l’ intera famiglia per ore
  • mamme costrette a trascinare via dal supermercato il figlio urlante che vuole l’ennesima macchinina
  • bimbi che rifiutano di fare ciò che gli viene chiesto, dal lavarsi i denti al mangiare le verdure
  • bambini che non ne volgiono sapere di stare nel seggiolino dell’ auto…

Si tratta davvero di comportamenti e desideri bizzari, singolari? Sono comportamenti inspiegabili e legati unicamente a com’è fatto il bambino, alla sua incapacità di ascoltare i grandi, al suo desiderio di mettere il genitore o l’adulto in difficoltà?

Ovviamente no.

Il comportamento dei bambini, sin da quando sono neonati e piangono per esprimere disagi fisici e non solo, è volto ad esprime un bisogno e/o uno stato d’animo che ancora non sono in grado di tradurre in pensiero e successivamente in parola (cosa che peraltro talvolta capita anche a noi adulti).

Allargare lo sguardo di adulti

Detto ciò, se ci si limita a catalogare il comportamento, spesso fastidioso ed irritante del bambino che urla, piange e ci mette in difficoltà, come “capriccio”, nel senso di comportamento inspiegabile, non possiamo riconoscere il significato di ciò che il piccolo ci vuole dire.

Ci sottraiamo inoltre a un dovere preciso dei grandi che si occupano della crescita dei più piccoli: aiutarli a leggere e comprendere il mondo, iniziando dal proprio mondo interiore.

È un compito difficile. È necessario fermarsi, respirare, riflettere, interrogarsi e mettersi in discussione, sia come genitori che come professionisti, e provare ad andare oltre.

Se guardiamo solo il pianto e le urla é come se si osservasse da molto vicino il dettaglio di un quadro impressionista, puntini e pennellate incomprensibili ci riempiono gli occhi, ma non hanno significato. Ci sentiamo confusi davanti a questo dettaglio. Allontanandoci di qualche passo però il dipinto prende forma nella sua interezza, il dettaglio incomprensibile adesso ha trovato ai nostri occhi il suo posto e il suo significato nell’interezza. Così se proviamo a non focalizzare l’attenzione sulle urla di un bimbo, ma cerchiamo di ampliare il nostro sguardo di adulti sul quadro generale, è molto probabile che il comportamento del bambino acquisti un significato più profondo del “capriccio”.

Per cambiare il nostro punto di vista dobbiamo tenere conto di due dimensioni: la necessità di esprimere bisogni e il livello di sviluppo mentale del bambino. Provo a fare un piccolo affondo su entrambe.

I bisogni dei bambini

Con il suo linguaggio dirompente, il piccolo potrebbe manifestare vari bisogni. Farò una panoramica, grazie anche all’interessante contributo del dott. Paolo Roccato, psicoterapeuta:

  • Bisogno di avere limiti chiari e fermi: può sembrare un paradosso se di fronte abbiamo un bambino che protesta perchè non vuole stare alle nostre condizioni, ma interroghiamoci se ciò che gli stiamo chiedendo è coerente con ciò che solitamente gli chiediamo e se le altre persone che si occupano di lui hanno la stessa linea. Al contrario se raramente poniamo dei limiti abbiamo di fronte un bambino che si sente senza confini, e questa condizione è molto destabilizzante. I bambini hanno la necessità di sentirsi contenuti e di sapere che si muovono su un terreno definito e rassicurante. Solo dentro a un contesto di questo tipo possono fare passi in autonomia e sperimentare le proprie capacità
  • Bisogno di misurare la forza dell’adulto: se il care giver ha una forza troppo esigua, non si posiziona come colui o colei che è in grado di prendersi cura e di fare delle buone scelte per il benessere del bambino, allora il piccolo sentirà di potersi prendere quel ruolo. Tuttavia lo farà con le competenze cognitive ed emotive di un bimbo di 2, 3, 4 anni, e cercherà di mettere in atto il suo “potere” in modo caricaturale
  • Bisogno di essere rassicurati riguardo all’amore dei genitori: per svariate cause il bambino può avvertire in determinate circostanze di vita che il genitore è lontano, distratto, preoccupato, preso mentalmente da altro; può essere che stia per arrivare, o sia già arrivato un fratellino/sorellina e che il bimbo si senta destabilizzato; può essere che i genitori intendano separarsi, o che lo abbiano già fatto, e ancora una volta il bambino abbia il bisogno di essere rassicurato che l’amore per lui non finirà;
  • Bisogno di affermare il giusto grado di autonomia: così come è fondamentale per il bambino sapere che l’adulto che si occupa di lui è presente e attento, allo stesso modo è un bisogno quello di percepire un certo grado di possibilità di movimento e di sperimentazione autonoma delle proprie capacità, nonchè nell’essere riconosciuti come persone con pensieri, sentimenti e desideri che hanno un proprio valore e devono essere riconosciuti e valorizzati
  • Bisogno di misurare il potere: correlato al bisogno precedente, il bambino sente il bisogno di sapere quale sia il suo grado di potere, sia in senso assoluto, sia nella relazione con il care giver. Proprio all’interno di questa relazione il bambino può sperimentare il giusto grado di potere, non assoluto perchè ne sarebbe angosciato, sentendosi senza limiti, nè del tutto negato perchè si sentirebbe schiacciato dal potere dell’altro e non in grado di difendersi nel mondo.

Lo sviluppo mentale influisce sul comportamento

La seconda dimensione da tenere presente è che il cervello dei bimbi è in evoluzione, e lo sarà ancora per molto tempo, le neuroscienze ci dicono che fino ai 25 anni lo sviluppo cerebrale non è completo.

Senza addentrarci in modo approfondito nei recenti studi neuroscientifici, è utile però avere in mente qual è il processo di sviluppo mentale che aiuta i bambini a controllare il proprio comportamento. Daniel Siegel e Tina Payne Bryson, nel loro testo 12 strategie rivoluzionarie per favorire lo sviluppo mentale del bambino, spiegano molto bene questo aspetto parlando di integrazione delle diverse parti del cervello come chiave dello sviluppo.

Il nostro cervello è composto, oltre che da due emisferi, anche da due parti verticali:

  • la parte inferiore, tronco encefalico e regione limbica, è la parte più primitiva, quella responsabile delle funzioni di base, come respirare e battere le palpebre, di reazioni, emozioni e impulsi innati
  • la parte superiore, la corteccia e le sue parti, svolgono invece le funzioni più raffinate ed evolute, quali la capacità di decidere e pianificare, la capacità di controllare le emozioni ed il proprio corpo, la comprensione di sè, l’empatia, la moralità. Questa è la parte del cervello che si sviluppa e ristruttura continuamente, fino a circa 25 anni.

Inoltre la connessione tra le due parti ha bisogno di allenamento per funzionare in modo ottimale: il bambino piccolo spesso rimane “intrappolato” al livello inferiore del cervello, manifestando comportamenti primitivi, come scoppi di rabbia e paure che possono sembrare esagerate.

In quei momenti il bambino non riesce ad accedere alla parte più evoluta del cervello, quella che appunto lo aiuterebbe a moderare il suo comportamento. Ecco perchè è fondamentale che l’adulto di riferimento che entra in azione relazionandosi  con il bambino in questi momenti di perdita di controllo, abbia in mente che non si trova davanti a un comportamento insensato e inusuale, ma a una normale condizione nel processo di crescita, che richiede comprensione e aiuto da parte del care giver.

Per questo usare il termine riduttivo e semplificativo”capricci” non aiuta i grandi a riconoscere bisogni e stati mentali del bambino, nè il piccolo a sentirsi riconosciuto e aiutato a controllarsi.

Conclusioni

Concludendo: no, i capricci non esistono.

Esistono comportamenti di difficile gestione, momenti di paura e di rabbia senza controllo, prese  di posizione, ricerca del limite. Ed esiste il compito degli adulti, come genitori e come professionisti, di accogliere, contenere, rileggere tali comportamenti per favorire una crescita armonica dei bambini di cui ci prendiamo cura.

Nel mio prossimo articolo proverò a suggerirvi strategie e atteggiamenti che possano aiutarvi a gestire i momenti di “crisi” e, al contempo, a favorire lo sviluppo mentale dei bambini.

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