La routine, com’è bella, rassicurante. Anche quella frenetica, che ti lascia la sera tramortita sul divano, senza la forza di girare canale dall’ennesima puntata di Grey’s Anatomy. Ma in questi mesi, più o meno da un giorno all’altro, eccoci catapultati in un mondo nuovo e minaccioso. Il Covid-19 sembra ovunque qui in Lombardia, e si sposta di persona in persona. Pare inarrestabile.
Quindi scuole chiuse, bimbi a casa, in uno stato quasi sospeso, sognante… I miei figli inneggiano a una vacanza inaspettata.
Noi adulti proviamo a capire meglio…ma le notizie sono frammentarie e spesso in contraddizione: è solo un’influenza/ no-no è un’epidemia pericolosa. Chiudiamo le scuole (segnale di per sè allarmante)/ ma tutti a fare gli aperitivi come se nulle stesse accadendo. Non sto facendo polemica, ma solo raccontando la confusione che ci ha accompagnati per giorni. Giorni nei quali ho continuato a vivere come prima, andando al lavoro, incontrando persone, guardando al futuro, programmando le vacanze di luglio.
Poi la doccia fredda. Non è solo un’inflenza. È una pandemia, pericolosa e contagiosissima. Occorre proteggerci, e proteggere ciò che di più caro abbiamo: gli anziani, la memoria del nostro paese, la fascia più a rischio.
Ed ecco allora il sentimento di protezione, di responsabilità verso gli altri, più forte di tutto il resto, che ci fa lasciare tutto in sospeso, chiudere le attività, abbandonare la macchina nel box, dipingere arcobaleni, lasciare opportunità sospese. Serrati in casa h 24, io nello specifico con due bambini piuttosto piccoli.
Inizialmente (posso dirlo?) mi sembrava il titolo di un film horror… ero troppo abituata alla mia vita in continuo movimento, al supporto dei nonni. Nel weekend erano piacevoli i momenti in casa, ma di certo intervallati da passeggiate, gite, incontri con gli amici, cene fuori. Come riorganizzare tutto questo tempo? Mi sentivo sull’orlo di un piccolo abisso. Dico anche che sono fortunata, ho una casa con tutto ciò che mi serve, un terrazzo grande e il cortile.
E allora via, un salto fuori dalla comfort zone, e modalità mamma-smartworker-casalinga attivata! Come per un istinto di sopravvivenza innato eccomi a fare quello che la maggior parte delle persone ha messo in campo: grandi pulizie della casa, anche in angoli ancora sconosciuti, cura del cibo e sperimentazione delle ricette più disparate, libri finiti alla velocità della luce,rinnovato interesse per il cinema, avendo sufficienti energie la sera per selezionare con cura cosa vedere (ho visto dei film stupendi!).
Ripensare e riorganizzare il lavoro intanto. Un lavoro educativo, che da quando io lo conosco si è sempre nutrito di sguardi, contatto di una mano o di un abbraccio, cura del corpo per arrivare alla cura dell’anima, vicinanza. Insieme ai colleghi lo abbiamo rimodellato, accorciato come un vestito su una nuova misura.La misura dell’on-line, della distanza fisica, alla ricerca di una vicinanza emotiva inedita. Alcune volte ci siamo riusciti, per qualcuno dei nostri ragazzini è stata un’occasione di sperimentare modalità più congeniali, ma in generale, trovo che il lavoro educativo a distanza si fa perchè crediamo che nessuno vada mai lasciato solo, ma manca una parte immensa e non colmabile… e quanto mi manca!
E intanto, organizzazione del tempo anche dei bambini, lavori artistici, tempo alla noia, coinvolgimento nei lavori domestici, neanche fossimo in un programma Montessori! Molto spesso è difficile conciliare il lavoro da casa, che intanto si intensifica sempre più, con la cura dei bambini; tutta la rete del mio lavoro conosce i miei figli, che si presentano davanti allo schermo con i più disparati bisogni. Qualche volta ho provato a spacciarli per esperti dell’argomento in oggetto…meno male che mi occupo di servizi ai minori, vah!! Sopra ogni altra cosa atteggiamento da asceta: non pensare a ciò che ti manca o a quello che vorresti, ma a cosa puoi fare ora per te! E devo dire che ha funzionato: ho rispolverato lo yoga, grazie alle numerose lezioni on line, ritrovando una buona flessibilità, non solo del corpo direi, e ho colto l’occasione per diventare vegetariana, tra i progetti non ancora attualizzati ormai da troppo tempo.
Allora? Viva la quarantena? Per certi aspetti sì, molte cose me le terrò strette: l’abitudine di 10 minuti di yoga solo per me, fare un po’ di esercizi con la mia bambina, leggere un libro a settimana, o ascoltarlo (anche farsi raccontare un libro dall’autore stesso è una coccola), alzarsi con calma e fare colazione senza dire almeno 10 volte, “forza che è tardi!”, stare sveglia davanti alla tv, scegliendo con cura il film da vedere, scrivere su un bigliettino una cosa, anche molto piccola, della giornata trascorsa, cucinare con calma…
Ma anche no a tutto quello che ha comportato a livello sociale, e che avrà lunghe ripercussioni sulle relazione che avremo con gli altri. Ci siamo sentiti uniti e impegnati in uno scopo comune, ognuno chiuso nella propria abitazione, abbiamo inventato flash mob, più o meno riusciti, sui balconi, il mondo degli artisti si è mobilitato per non farci sentire soli. Tante cose erano confortevoli nella Fase 1. Io ho costruito un nuovo modello di routine, accogliente e rassicurante…e ora?
La fase 2 è iniziata da qualche giorno e abbiamo il permesso di uscire di casa, non solo per le necessità primarie alle quali ci siamo sacrificati. Ora si può lasciare il nido ben sistemato in quarantena per fare una passeggiata. Allora la visione si fa ambigua, come ci possiamo sospingere fuori dalla nuova e così protettiva comfort zone, per un mondo diverso, un po’minaccioso, dove non possiamo incontrare gli amici, e dove anche quando lo faremo saremo costretti a non abbracciarci, accompagnati da un intimo sentimento di sospetto, di possibile minaccia?
Perchè uscire? Perchè destrutturare, ancora, la mia vita?
Io lo ammetto, ho dovuto autoconvincermi che era una cosa buona, mi sono preparata con la mascherina, e senza alcuna convinzione sono andata a fare due passi in paese. Ho trovato altri esseri umani, disciplinati quanto me, con mascherina e che cambiano lato del marciapiede per non avvicinarsi. Non ho guardato negli occhi quasi nessuno, e finito il giro sono tornata a casa. Mi sono commossa, non per la felicità, ma per la sensazione aliena che mi ha accompagnata. Per quel piccolo mondo lì fuori così diverso, per la distanza lunghissima che ci separa da una normalità già conosciuta, per il tempo che passerà prima di poter abbracciare un’amica, guardare negli occhi e sorridere a un’altra persona, avvicinarsi senza sospetti o paure.
Intanto il mondo più produttivo, o più pronto al cambiamento di me, o quella parte che non si è modificata molto durante la quaranta spinge, per un rientro al lavoro di persona, per la riapertura di nidi e centri estivi, per pensare a come organizzare le spiagge… Io non sono tanto pronta. Non ora. Alcune cose le devo fare e le farò, perchè me lo chiede il lavoro, altre per quest’anno non saranno. Non mi vedo in spiaggia, con la mascherina, o con la paura del vicino di asciugamano. I piccoli piaceri della vita erano tali perchè avevano il sapore implicito della libertà, della sicurezza, della gioia di vivere.
Allora per le parti che posso decidere starò ancora un pochino nella routine da quarantena, che alla fine mi ha portato piccole cose preziose da custodire.
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